POSITANO 79 D.C.

LA VILLA ROMANA SEPOLTA DALL’ERUZIONE DEL VESUVIO

Positano dista in linea d’aria circa 20 km dal cratere del Vesuvio. Si pensava che la costa di Amalfi non fosse stata danneggiata, o almeno non in modo consistente, dall’eruzione che distrusse Pompei, così lontana come è, protetta dalla dorsale dei Monti Lattari. In realtà, purtroppo, la colonna eruttiva salì per oltre 20 km nell’atmosfera e ricadde spinta dai venti stratosferici verso sud. Sul vallone Porto – il bacino sotteso alla marina di Positano – ma anche su buona parte del Golfo di Salerno caddero circa due metri di pomici e ceneri. Di per sé non uccisero, in quanto non presentavano più temperature molto elevate, ma una “coperta” di due metri di materiali sciolti ed estremamente reattivi non poteva rimanere in equilibrio sulle scoscese pareti calcaree dei Lattari.

Sul fondovalle principale, la colata vulcanoclastica raggiunse così circa 20 m di spessore: la prestigiosa villa marittima posta sull’antico arenile, e tutto quanto

in essa contenuto, compreso gli eventuali ospiti, non ebbe scampo.

La reattività delle piroclastiti fu tale da trasformare, in brevissimo tempo, l’ammasso caotico fangoso in una sorta di tufo, talmente duro che lo scavo archeologico deve essere condotto con l’ausilio del martello pneumatico. Chiamato in Costiera “durece” tale materiale è stato ampiamente utilizzato quale materiale da costruzione.

I dati di scavo evidenziano che la villa di Poseides fu inizialmente investita da un sottilissimo strato di ceneri e subito dopo da una fitta pioggia di pomici che la ricoprì per quasi due metri. I tetti spioventi del triclinio favorirono lo scivolamento delle stesse pomici verso i giardini, verso l’esterno. Parti delle strutture lignee del sistema tetto e solaio superiore collassarono, verticalizzandosi al di sopra del mobilio e delle suppellettili presenti all’interno dell’ambiente.

 

Contemporaneamente altri lobi della colata aggirarono l’ostacolo e raggiungendo il peristilio sud rifluirono verso monte abbattendo alcune colonne in stucco del portico trascinandone una verso monte, all’interno dell’ambiente tricilinare accumulando e schiacciando contro la parete nord, il fasciame ligneo pertinente sia alla cassettonatura del soffitto che di eventuali tramezzature che delle stesse impalcature utili ai lavori di restauro in corso.

Già parzialmente riempito, sotto la spinta sempre più greve dell’ammasso fangoso da monte, le pareti dell’ambiente triclinare cominciarono a collassare, quella occidentale venne frantumata in grossi pezzi, quella settentrionale e orientale rimasero solidali ma vennero come spezzate a circa 1.50 m dal pavimento.

La parte superiore subì uno spostamento di circa 40 cm verso valle (come visibile nella foto) ma non crollò certificando che il triclinio era già stato rapidamente

colmato dal lobo di colata meridionale.

La dislocazione visibile in corrispondenza di uno dei tappeti giallo/rossi della parete orientale forse costituiscono la prova più spettacolare della violenza del flusso piroclastico.

Al momento dell’eruzione la villa era oggetto di lavori di ristrutturazione ed ampliamento in ragione dei danni subiti del sisma del 62 d.C., che sono dimostrati dall’impalcato interno, la presenza di una sega e di altri attrezzi per i lavori in corso, ma soprattutto dal riempimento di una precedente cisterna, posta al margine sudorientale del complesso residenziale ed oramai defunzionalizzata, che viene utilizzata per l’accumulo temporaneo di pezzame in grossi blocchi informi di Tufo Giallo Napoletano proveniente dalle cave partenopee ed in corso di trasformazione in cubilia da parte di pazienti scalpellini per la realizzazione di nuove mura in opus reticolato.

Giovanni Di Maio